La Demenza Senile è una patologia neurologica che comporta una progressiva perdita delle funzioni cerebrali e conseguenti deficit cognitivi, motori nonché della memoria.
I principali fattori di rischio sono: il fumo, il colesterolo alto, l’ipertensione e l’abuso di alcol.
Un importante fattore causale è rappresentato dall’ insufficienza vascolare a livello della corticale dell’encefalo, con danni progressivi alla microcircolazione, dall’accumulo di placche di proteina β-amiloide e grovigli neurofibrillari di proteina tau-iperfosforilata lungo i vasi sanguigni cerebrali, da un aumento della densità e dell’attivazione delle cellule infiammatorie, fattori che portano infine alla morte di neuroni e di altre cellule cerebrali.
Si manifesta soprattutto dopo i 60 anni ma vi possono essere insorgenze precoci.
La demenza rappresenta una delle più grandi sfide della salute pubblica: oggi oltre 35 milioni di persone convivono con questa malattia.
Questo numero è destinato a raddoppiare entro il 2030 e a triplicare entro il 2050.
Le malattie cerebrovascolari rappresentano la seconda causa di demenza e possono causare forme di deterioramento mentale non solo attraverso la riduzione del calibro dei vasi arteriosi con conseguente riduzione del flusso ematico, ma attraverso lo sviluppo di eventi ischemici o emorragici.
Nei casi di demenza vascolare il quadro clinico è spesso caratterizzato da piccoli infarti profondi e disseminati in varie regioni del sistema nervoso centrale e da alterazioni delle pareti delle arteriole cerebrali.
I sintomi principali associati al declino cognitivo sono: rallentamento dello sviluppo delle idee, disturbi della deambulazione, vertigini, incontinenza urinaria, deficit dell’articolazione delle parole, labilità emotiva ed ansia. Inoltre la cerebropatia vascolare si riscontra la maggior parte delle volte nei soggetti affetti da ipertensione arteriosa oppure da disturbi metabolici, come la sindrome metabolica ed il diabete.
Ad ogni modo la demenza vascolare si differenzia dalle forme neurodegenerative come l’Alzheimer, in quanto l’esordio è generalmente più acuto, la progressione a gradini, il decorso fluttuante ed i deficit neurologici sono focali.
L’Alzheimer (AD) non è l’unica forma di demenza, ma è sicuramente la più comune in tutto il mondo e colpisce ad oggi circa il 5% delle persone con più di 60 anni d’età e, in Italia, si stima che esistano circa 500mila ammalati.
La malattia di Alzheimer fu scoperta ufficialmente all’inizio del XX secolo dal medico tedesco Alois Alzheimer e da allora un’ampia mole di studi ha approfondito la conoscenza di questa patologia alla base della demenza.
È una patologia neurodegenerativa dal forte impatto individuale, familiare, socio-sanitario.
La sua gravità è data dal fatto che con il passare del tempo incide negativamente sulle capacità di apprendimento e di memoria, oltre ad influenzare il tono dell’umore ed i comportamenti della persona.
Il rischio di contrarre l’Alzheimer è determinato anche da predisposizione genetica, in particolare dalla variante APOE4, una α- lipoproteina dominante nel cervello, sintetizzata dagli astrociti nella barriera emato-encefalica.
Uno studio di livello 1 ha collegato il gene APOE4 con un’elaborazione difettosa del colesterolo nel cervello, che a sua volta porta a difetti nelle guaine isolanti che circondano le fibre nervose e facilitano la loro attività elettrica. I risultati preliminari suggeriscono che questi cambiamenti potrebbero causare deficit di memoria e apprendimento.
L’Alzheimer provoca un deterioramento cognitivo con un esordio progressivo ed insidioso, mentre il quadro neurologico è per lo più del tutto negativo fino alle fasi più avanzate della malattia. Generalmente si assiste ad un declino iniziale abbastanza rapido cui segue una fase abbastanza stabile ed infine un’accelerazione nell’ultimo periodo.
Inizialmente ci possono essere disturbi aspecifici legati alle difficoltà cognitive, ma soprattutto si evidenziano disturbi della memoria e l’incapacità di apprendere nuove informazioni. Si possono verificare anche episodi di franca confusione mentale e vuoti di memoria improvvisi. Con il passare di alcuni anni la situazione si aggrava ulteriormente e possono comparire disturbi del linguaggio, disorientamento spaziale, difficoltà nel vestirsi e nel riconoscere gli oggetti e/o le persone. Infine nelle fasi più avanzate subentra apatia o disinibizione con irritabilità ed aggressività.
Sulla base di evidenze recenti un segno distintivo della malattia di Alzheimer (e non solo) è l’iper-attivazione dei processi infiammatori a livello cerebrale (neuroinfiammazione).
Due sono le tipologie speciali di cellule interessate, la microglia e gli astrociti, le quali sono coinvolte nel rilascio dei mediatori pro-infiammatori e nell’aumento dei radicali liberi.
La neuroglia è coinvolta in numerosi processi fondamentali come la formazione di nuovi neuroni, la plasticità sinaptica e la pulizia degli scarti nel cervello. Inoltre, la sua importanza è data anche dal fatto che è capace di fagocitare i depositi di beta-amiloide, che esercitano effetti pro-infiammatori e neurotossici nella neuro-degenerazione.
Tuttavia, queste cellule “spazzine” non riescono a lavorare appieno quando c’è uno stato infiammatorio cronicizzato, mentre nel frattempo si pongono sempre di più le basi per la formazione degli aggregati patologici tipici dell’Alzheimer.
Gli astrociti, invece, hanno un ruolo nella regolazione metabolica, strutturale, infiammatoria e delle connessioni neuronali.
Quindi abbiamo visto che un altro fattore determinante oltre all’insufficienza vascolare cerebrale è la neurodegenerazione, conseguente alla perdita del delicato equilibrio tra fattori neuro-tossici e neuro-protettivi.
I meccanismi coinvolti nel decadimento cognitivo e i fattori pro-infiammatori e potenzialmente dannosi per il sistema nervoso sono numerosi e comprendono residui di agenti patogeni (es. virus, batteri, funghi), sovraccarico di ferro, sbilanciamenti metabolici, il rilascio di molecole immunitarie e di prodotti ossidati. L’innesco infiammatorio come visto passa attraverso l’azione delle cellule astrocitarie e della microglia.
La neuro-infiammazione contribuisce quindi sia allo sviluppo che alla progressione del morbo di Alzheimer.
In particolare si osserva un aumento dei mediatori pro-infiammatori, detti citochine, a livello locale e persino a livello sistemico nel corpo.
Studi scientifici tramite imaging 2PEF del sistema vascolare corticale del topo hanno rivelato un elevato numero di ostruzioni del circolo cerebrale, che risultavano essere causate da una stasi capillare dovuta ad accumulo di leucociti, in particolare neutrofili.
La migliore comprensione dei meccanismi alla base della DA grazie ai modelli murini ha suggerito un possibile approccio terapeutico alla malattia di Alzheimer: ripristinare il corretto flusso sanguigno cerebrale attraverso la riduzione dell’adesione dei neutrofili.
Benché l’Alzheimer appaia come una patologia esclusivamente del sistema nervoso centrale, un numero crescente di evidenze scientifiche sottolineano il ruolo di altri fattori più “periferici” tra cui ciò che avviene nell’apparato digerente, soprattutto per quanto riguarda l’intestino ed il cosiddetto microbiota.
Oltre al fatto che gli studi mostrano una frequente associazione tra Alzheimer, disturbi gastrointestinali e sindrome della permeabilità intestinale, risulta particolarmente rilevante il ruolo delle infezioni da parte di agenti patogeni nel peggioramento del deterioramento cognitivo.
In merito ci possono essere infezioni silenti ma recidivanti da parte di batteri, virus, funghi tra cui per esempio Porphyromonas gingivalis, Helicobacter pylori, Herpes symplex, Borrelia.
Studi recenti puntano l’attenzione sul rilascio microbico di sostanze amiloidi, che si ritiene possano fungere da innesco per gli eventi patologici oppure aggravare la malattia.
L’attivazione immunitaria, le infezioni recidivanti, i disturbi intestinali sono coinvolti nella demenza di Alzheimer.
E’ difficile che le cellule nervose riescano a svolgere appieno le loro attività se prima non vengono risolti i fattori alla base della loro alterazione, quali l’alterazione del sistema immunitario, l’infiammazione, l’integrità dell’apparato digerente e del microbiota in esso contenuto, persino per quanto attiene ad un organo così distante come il cervello. Ricordiamo che il tratto digerente inizia dalla bocca e prosegue fino alla fine dell’intestino ospitando diverse comunità di microrganismi, che formano appunto il microbiota, che è in grado di interagire in vario modo con il sistema nervoso.
Il termine MICROBIOTA si riferisce quindi all’insieme di microrganismi che risiedono naturalmente e stabilmente nelle suddette aree del nostro corpo. Il microbiota più denso e popolato è sicuramente quello presente sulla superficie delle pareti intestinali, dove si contano circa mille miliardi di batteri appartenenti a oltre 1.000 specie diverse, virus, funghi e protozoi: un numero incredibile e circa pari a quello delle nostre stesse cellule, con il peso totale di circa un chilogrammo e mezzo che, comunicando tra loro, agiscono come se fossero un unico organismo e svolgono funzioni importanti per la salute dell’uomo.
L’intestino, come detto, non è l’unico luogo che ospita microrganismi ed infatti esistono diverse tipologie di microbiota, che si localizzano a livello orale, cutaneo, vaginale e respiratorio. Concentrandosi solo sul microbiota intestinale i microrganismi principali sono batteri, con circa 600-1000 specie batteriche differenti presenti nell’intestino di ciascuno di noi. Ma i batteri non sono i soli, in quanto sono presenti secondariamente anche funghi e virus, il cui ruolo sta pian piano emergendo dagli studi più recenti. È bene precisare che questi microrganismi risiedono naturalmente nell’intestino e svolgono un ruolo essenziale nel promuovere la nostra salute, in quanto instaurano con noi un rapporto di simbiosi. Il microbiota intestinale, infatti, partecipa alla difesa dell’organismo da parte dei patogeni, alla maturazione e regolazione immunitaria, alla protezione della mucosa intestinale, alla digestione, alla sintesi di alcune vitamine e di molte sostanze bioattive. La composizione del microbiota è influenzata da un’ampia varietà di fattori quali la presenza di infezioni, l’uso eccessivo di alcuni farmaci ad es. gli antibiotici), l’alimentazione, lo stile di vita, le tappe del periodo neonatale e dallo stato genetico, metabolico, ormonale e immunitario della persona. Il microbiota si modifica con l’età e con il variare degli elementi che lo influenzano come l’ambiente e la dieta che, nell’arco di un solo giorno, è in grado di cambiare transitoriamente circa il 60% della sua composizione. Il restante 40% tende a rimanere stabile, perlomeno nella parte centrale della vita. Tende, invece, a essere instabile nella fase iniziale, quando il processo di maturazione è in corso, e in quella finale, tipica dell’età avanzata. Anche per questa ragione queste fasce di età sono considerate “fragili” e maggiormente esposte a rischi. Quando il microbiota va incontro ad una significativa alterazione nella quantità e nella biodiversità dei microrganismi si parla di Disbiosi, una condizione che apre le porte a numerosi disturbi e patologie (non solo gastrointestinali). Le alterazioni del microbiota intestinale sono collegate a varie patologie tra cui le malattie infiammatorie intestinali, quelle epatiche, metaboliche, alcune tipologie di tumori e persino disturbi del sistema nervoso centrale.
La ricerca ha ormai confermato che il microbiota instaura una relazione bidirezionale con il cervello e ciò avviene tramite messaggi nervosi, immunologici e molecolari. Da una parte il sistema nervoso centrale è in grado di modificare l’ambito intestinale regolando il transito intestinale, le secrezioni ed i processi immunitari. D’altra parte i microrganismi intestinali sono in grado di sintetizzare e rilasciare un’ampia varietà di metaboliti, sostanze bioattive e neurotrasmettitori, che possono influenzare il funzionamento cerebrale. Pertanto si tratta di un vero e proprio asse in cui la salute del sistema nervoso, quella dell’intestino e del microbiota si influenzano vicendevolmente. Numerosi studi dimostrano che i microrganismi presenti nel tratto digerente non sono inerti e non esercitano i loro effetti solo a livello intestinale; per esempio essi intervengono nel normale sviluppo delle strutture nervose ed una biodiversità microbica anomala è associata ad una riduzione dell’integrità della barriera emato-encefalica, che è una barriera semipermeabile che protegge il sistema nervoso dalle sostanze presenti nel sangue circolante. Il microbiota interviene indirettamente nelle malattie neurologiche attraverso la capacità di convertire i derivati alimentari in sostanze bioattive e metaboliti. Un’eventuale alterazione può portare a sbilanciamenti non solo nei metaboliti, ma anche in vari mediatori attivi sul sistema nervoso e sui neurotrasmettitori (es. serotonina, acetilcolina). Infine, sempre più evidenze mostrano che una condizione di disbiosi precoce, soprattutto in età evolutiva, è in grado di influenzare lo sviluppo delle future funzioni cognitive, le risposte allo stress, l’umore e le capacità di socializzazione. In sintesi il microbiota intestinale è capace di influenzare la neurotrasmissione e il neuro-sviluppo attraverso meccanismi immunologici, ormonali ed il rilascio di metaboliti. Ciò di conseguenza può incidere sugli aspetti neuropsicologici, cognitivi e cerebro-vascolari.
Concludendo: l’Alzheimer è una patologia neurodegenerativa multifattoriale, cioè deriva dalla combinazione di vari fattori legati alla genetica, allo stile di vita ed all’ambiente.
Ad ogni modo un comune denominatore di tutti questi multi-fattori è la loro ripercussione sullo stato infiammatorio.
In particolare si segnalano qui di seguito i più importanti fattori di rischio:
- Infezioni (cerebrali o periferiche)
- Esposizione al fumo o ad altri inquinanti
- Trauma cranico
- Sedentarietà prolungata
- Obesità
- Alimentazione sbilanciata
- Diabete mellito
- Stress cronico da lungo tempo
Insomma l’Alzheimer non è una patologia dei soli neuroni, ma in campo preventivo e terapeutico è fondamentale tenere in considerazione i forti legami con il sistema immunitario ed il metabolismo.
Da qui nasce l’importanza della cura dello stile di vita (alimentazione, attività fisica, sonno) e sull’utilizzo di terapie e trattamenti da personalizzare ad hoc sulla base dello stato di salute complessiva della persona.
OZONOTERAPIA PER LA CURA DELLA DEMENZA SENILE
L’ozono è una molecola costituita da tre atomi di ossigeno, che ha dimostrato una buona efficacia clinica nel trattamento di diverse patologie. In particolare l’ozono esercita sull’organismo un’azione ad ampio spettro tra cui effetti anti-infiammatori, anti-dolorifici e di riattivazione della microcircolazione facilitando la cessione dell’ossigeno ai tessuti. Inoltre questi vantaggi sono valorizzati dall’assenza sia di interazioni farmacologiche che di effetti collaterali. L’ozonoterapia risulta utile nella cura e nella prevenzione di varie patologie sistemiche tra cui quelle che coinvolgono il cervello.
L’ozonoterapia può esercitare un’azione protettiva nei confronti del sistema nervoso, in quanto riattiva il microcircolo ed aumenta la deformabilità dei globuli rossi con un relativo aumento della concentrazione dell’emoglobina ossigenata. Tutto ciò si traduce in un incremento del metabolismo cerebrale insieme ad una maggiore ossigenazione dei neuroni e dei fasci nervosi.
In aggiunta l’ozono determina una modulazione dei mediatori immunitari dell’infiammazione, esercita effetti anti-edemigeni ed una forte azione antiossidante, perché attiva le funzioni cellulari protettive contro lo stress ossidativo.
In ambito neurologico l’ozonoterapia induce modificazioni anatomiche e fisiologiche che riducono l’edema e favoriscono la perfusione sanguigna, il metabolismo cerebrale con un incremento della produzione energetica nei neuroni. Per questi motivi l’ozonoterapia può condurre a miglioramenti delle condizioni neurologiche nelle sindromi cerebrovascolari come gli attacchi ischemici temporanei, ictus, demenza senile precoce, cerebropatie indotte da radiazioni e nella riabilitazione neuropsicologica post-operatoria.
- Bocci V et al. Ozone: a new therapeutic agent in vascular diseases. Am J Cardiovasc Drugs. 2011;11(2):73-82;
- Molinari F et al. Ozone autohemotherapy induces long-term cerebral metabolic changes in multiple sclerosis patients. Int J Immunopathol Pharmacol. 2014 Jul-Sep;27(3):379-89;
- Molinari F et al. Cerebrovascular pattern improved by ozone autohemotherapy: an entropy-based study on multiple sclerosis patients. Med Biol Eng Comput. 2017 Aug;55(8):1163-1175;
- Yu L et al. Does ozone autohemotherapy have positive effect on neurologic recovery in spontaneous spinal epidural hematoma? Am J Emerg Med. 2014 Aug;32(8): 949.e1-2;
- Osvaldo Angelini2 | Gabriele Tabaracci2 | Manuela Malatesta1Maria A. Lacavalla et al: Ozone at low concentration modulates microglial activity in vitro: A multimodal microscopy and biomolecular study;
- Herandez et al., Neutrophil adhesion in brain capillaries reduces cortical blood flow and impairs memory function in Alzheimer’s disease mouse models. Nat Neurosci. 2019 Mar;22(3):413-420.
Un team di ricercatori italiano ha osservato che l’uso dell’ossigeno-ozono apporta numerosi benefici a livello cognitivo per tutti quei pazienti che, a causa dell’avanzare dell’età, vengono colpiti da deterioramento delle capacità intellettive.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Mechanisms of Ageing and Development edita da Elsevier, con il titolo “Molecular mechanisms in cognitive frailty: potential therapeutic targets for oxygen-ozone treatment”.
I benefici dell’ozono si riscontrano soprattutto in relazione all’attivazione del sistema immunitario, a una migliore risposta dell’organismo alle infezioni, alla sovraregolazione dell’attività enzimatica antiossidante cellulare, al miglioramento del rilascio dei fattori di crescita piastrinici e della circolazione sanguigna, con una conseguente maggiore ossigenazione dei tessuti e a un incremento dei processi metabolici.
Gli autori dello studio individuano nell’ossigeno-ozono terapia una valida metodica per il trattamento della fragilità cognitiva, “per la sua nota e ampiamente dimostrata capacità di cura in un ampio spettro di malattie: cardiovascolari, metaboliche, respiratorie, neurodegenerative e digestive”. (INSALUTENEWS.IT)
L’ozonoterapia è una terapia complementare che ha un’azione neuro-protettiva perché riattiva il microcircolo cerebrale con migliore ossigenazione dei neuroni e della sostanza bianca dell’encefalo e ha un’azione protettiva per le sue proprietà antinfiammatorie per l’arteriosclerosi cerebrale.
La vasodilatazione periferica accompagnata da un incremento del metabolismo cerebrale viene sostenuta da un aumento della velocità di flusso sanguigno cerebrale.
Nei pazienti affetti della malattia di Alzheimer e delle forme degenerative ad essa correlate e trattati con Ozonoterapia Sistemica, è stato osservato un miglioramento delle facoltà cognitive e mnestiche, della coordinazione motoria, della deambulazione, del riequilibrio del ritmo veglia-sonno, delle condizioni psichiche, comportamentali e neurologiche generali.
Lo studio sperimentale effettuato con uno spettroscopio NIRS e un doppler transcranico, ha evidenziato, nei pazienti affetti da cerebropatia vascolare multi-infartuale trattati con Ozonoterapia
- miglioramento del microcircolo cerebrale
- aumento dell’attenzione
- miglioramento delle attività cognitive e della memoria
- diminuzione della spasticità neuromuscolare
Bibliografia scientifica visibile su www.pubmed.com
DOVE OPERO CON OZONO TERAPIA:
– Parma – Studio Medico – Viale Mentana, 45 – tel. 324.6648080
– Latina – Fisiosanisport – Via Priverno, 4 – tel. (+39) 0773621612 – (+39) 0773621624
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